III Domenica di Quaresima

Domenica di Abramo

«… prima che Abramo fosse, Io Sono …».

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 8, 31-59

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Catechesi di padre Massimo di Domenica 20 marzo 2022 – dalla Parrocchia Santa Rita – Milano –  Vangelo del rito Ambrosiano –  Giovanni 8, 31-59.

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«… la vera libertà …».

Omelia di padre Massimo di Domenica 20 marzo 2022 – dalla Parrocchia Santa Rita – Milano –  Vangelo del rito Ambrosiano –  Giovanni 8, 31-59.

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Padri e madri del deserto

«Amma, madre», Santa Sincletica

20 marzo 2022

III Domenica di Quaresima

Amma, dicci una parola…

Sincletica

Alcune donne, per volere di Dio, cominciarono a venire da lei e a incontrarla a propria edificazione spirituale e la frequentavano sempre di più, approfittando delle esperienze di vita che essa narrava e traendone guadagno. E, secondo l’uso, l’interrogavano dicendo: “Che cosa si deve fare per ottenere la salvezza?”. (Vita di Sincletica, 20.5-6)

Figliole, tutte vogliamo essere salvate, ma a motivo della nostra negligenza perdiamo la salvezza. (Alf. Sincletica 23 S 5)

Vigiliamo perché, attraverso i nostri sensi, i ladri entrano anche se non lo vogliamo. Come può non annerirsi una casa se il fumo entrando dall’esterno trova le finestre spalancate? (Alf. Sincletica 24 S 6)

Disse ancora: “C’è una tristezza utile e una tristezza dannosa. È proprio della tristezza utile gemere sui propri peccati […] e far sì che non veniamo meno al nostro proposito di giungere alla perfezione del bene. Ma c’è anche un’altra tristezza che viene dal Nemico, piena di stoltezza; da alcuni è chiamata acedia. Bisogna respingere questo spirito soprattutto attraverso la preghiera e la salmodia. (Alf. Sincletica 28 S 10)

Egli ci fa guerra con tentazioni dall’esterno e ci domina mediante i pensieri interiori. (Vita di Sincletica, 28.9)

L’anima, come una nave, talvolta viene affondata dalla onde esterne; talvolta, viene sommersa a causa dell’acqua che ha invaso la stiva. Così anche noi, talvolta, ci perdiamo per le azioni peccaminose compiute all’esterno, talvolta veniamo distrutti dai pensieri interni. È necessario dunque guardarsi non soltanto dagli assalti che provengono dall’esterno dell’uomo, ma anche svuotarci dai pensieri impuri che vengono dall’interno. (Alf. Sincletica 25 S 7)

Dobbiamo, dunque, rendere più attenta la mente ai nostri pensieri. (Vita di Sincletica, 46.1)

Anche noi dobbiamo prenderci cura dell’anima non in modo superficiale e provvedere al suo ornamento con tutte le nostre forze, senza trascurare soprattutto le profondità. […] Cerchiamo di scacciare i vermi che distruggono l’anima. La testa è la nostra anima. (Vita di Sincletica, 80.1; 4; 7)

Attenta a te! (Vita di Sincletica, 49.3)

Ho conosciuto un servo di Dio che viveva secondo virtù; stando seduto nella sua cella, vigilava sui pensieri che si presentavano e valutava quale fosse venuto per primo, quale per secondo e quanto tempo ciascuno di essi si trattenesse; si domandava anche se fosse peggiorato o avesse fatto progressi rispetto al giorno precedente. Così conosceva perfettamente la grazia di Dio, la propria perseveranza e forza e quindi anche la disfatta del Nemico. (Vita di Sincletica, 88.6)

Se anche avviene un piccolo furto da parte del Nemico, bisogna sopportare, seppure con tristezza, di essere stati messi alla prova, ma non bisogna disperare né gettare via tutto a causa di una colpa involontaria. Hai le novantanove pecore, cerca anche la smarrita. Non spaventarti per una sola colpa, non allontanarti dal Signore, perché il diavolo assetato di sangue non catturi e non distrugga tutto il gregge delle tue azioni. Non disertare, dunque, per una sola mancanza perché il Signore è buono. (Vita di Sincletica, 89.3-6)

Non tutto è utile a tutti; ciascuno se ne convinca personalmente. […] Come alcune piante crescono più rigogliose in luoghi umidi, altre invece diventano più resistenti in luoghi asciutti, così anche tra gli uomini: alcuni agiscono bene in luoghi più elevati, altri si salvano in luoghi più umili. (Vita di Sincletica, 97.1; 3)

Come possiamo dunque distinguere l’ascesi divina e regale da quella tirannica e demoniaca? È chiaro: dalla misura! Sottoponiti ad una regola di digiuno costante nel tempo. Non digiunare quattro o cinque giorni per poi rompere il digiuno il giorno seguente con grande quantità di cibo. La mancanza di misura finisce sempre per essere dannosa. (Alf. Sincletica 15)

Non consumare in un sol colpo le tue armi; ti troverai in guerra disarmato e sarai una facile preda. Le nostre armi sono il nostro corpo; il soldato è l’anima; abbi cura dell’uno e dell’altro perché siano in grado di servirti. Se sei giovane e in buona salute digiuna. Verrà la vecchiaia con la sua infermità. Finché puoi, fa’ provviste di cibo spirituale, le ritroverai quando le forze ti avranno abbandonato. (Vita di Sincletica, 100.3-9)

Perché questa è la grande ascesi: sopportare strenuamente le malattie ed elevare inni di ringraziamento a Dio. (Alf. Sincletica 8)

***

20 marzo 2022

III Domenica di Quaresima

Amma, dicci una parola…

Sincletica

Abba. Amma.

Padre. Madre.

Troppo grossolano sarebbe l’errore di cedere alla tentazione di porre in contrapposizione il maschile – riconducibile alla sfera della razionalità e della prassi – al femminile –  riconducibile a quella dell’emotività, del cuore, della cordialità della relazione con Dio e con gli uomini.

Eppure questo per secoli, in vari modi e con le più scontate argomentazioni è stato fatto, e non ha risparmiato neppure le donne del deserto.

Senza scendere troppo nei dettagli, si può dire che è accaduto che di quelle non poche donne di rottura che, sull’esempio delle prime generazioni di monaci del deserto egiziano, hanno abbandonato la società nella quale vivevano e si sono ritirate nelle zone periferiche del Nilo, del Sinai o in altre regioni appartate, il nome sia stato tramandato al maschile, o il modo di vivere l’esperienza monacale ricordato con scherno, o, ancora, soprattutto in Occidente, si siano completamente perse le tracce.

Le donne del deserto, che impareremo a conoscere attraverso le loro stesse parole, di fatto potrebbero non essere pienamente accolte  neanche dalla nostra struttura mentale, che prevede una sorta di antagonismo tra maschile e femminile. A dispetto di quell’idea di debolezza, di fragilità, a volte anche di irrisolutezza e di volubilità attribuita spesso alla donna – il sesso debole, si sente dire ancor oggi – incontreremo donne forti, che sono del tutto consapevoli delle loro posizioni difficili; guerriere che, ponendosi in obbedienza alla Parola di Dio, combattono contro se stesse e contro il loro passato fino a vivere nella concretezza della quotidianità un’esperienza dello e nello Spirito tale da farle diventare assistenti, guide, levatrici spirituali, che aiutano altre anime a maturare e a compiere il loro cammino di vita.

Queste sono le amma, le madri spirituali: donne che, decidendo di imitare il folgorante esempio di Antonio il Grande, si liberano dell’ideale standardizzato di vita femminile dell’epoca e, lontane dal mondo, conducono, con una certa durezza, fermezza e determinazione (nei loro stessi confronti e nei confronti della loro famiglia) una vita spiritualmente guidata, nel desiderio di vivere una vita come quella di un apostolo di Cristo.

Del resto, se è vero che non esiste una santità maschile e una santità femminile – la santità, infatti, è un concetto universale che ha coordinate sue proprie e che, in ambito cristiano, ha in Cristo il suo unico archetipo[1] – se è vero che talvolta uomini e donne del deserto hanno sulla bocca le stesse risposte, è vero anche che le donne del deserto, le amma, generalmente hanno, rispetto ai padri del deserto, un modo altro di essere guide, un diverso modo di affrontare le questioni a loro sottoposte, una sensibilità specifica, che tuttavia non è in opposizione a quella maschile, ma è specifica del genere femminile.

Il loro attegiamento è un atteggiamento tipicamente femminile, mosso da un anelito alla vita, che è per natura inscritto nelle viscere di ogni donna: uno spazio generativo, un luogo di accoglienza (per gli altri e per l’Altro), di cura, di delicata e forte custodia. Esse hanno un grembo, che concede loro di vivere l’esperienza della sequela di Cristo in modo del tutto particolare.

Sincletica, che ci è nota attraverso i 28 apoftegmi a lei attribuiti e attraverso una biografia della santa[2] è, fra le donne del deserto, quella che viene presentata come modello di santità monastica femminile parallelo a quello di Antonio il Grande. Se tuttavia, anche la struttura della Vita di Sincletica ricalca piuttosto fedelmente quella della Vita di Antonio, nelle sue istruzioni, che lei rivolge indistintamente a uomini e donne, si trovano parole chiare destinate soprattutto alle donne. Non di poco conto è il fatto che Sincletica, prima della sua partenza da Alessandria, fosse una presenza molto elegante, proveniente da una famiglia nobile, cosa che le ha permesso di conoscere la vita raffinata delle donne del suo tempo, e, di conseguenza, di conoscere anche le seduzioni di quel mondo, al punto che, una volta ritiratasi dal mondo,

alcune donne, per volere di Dio, cominciarono a venire da lei e a incontrarla a propria edificazione spirituale e la frequentavano sempre di più, approfittando delle esperienze di vita che essa narrava e traendone guadagno. E, secondo l’uso, l’interrogavano dicendo: “Che cosa si deve fare per ottenere la salvezza?”[3].

Le parole con le quali lei si rivolge espressamente alle donne lasciano intendere quale fosse la sua esperienza:

Figliole, tutte vogliamo essere salvate, ma a motivo della nostra negligenza perdiamo la salvezza[4].

Così, incontro dopo incontro, nella relazione con l’Altro e con gli altri, Sincletica, piano piano riconosce la propria chiamata: sostenere il desiderio spirituale che vedeva emergere in altre donne. Diventa così maestra del cammino interiore di moltissime donne, fino alla morte, che la coglie a 80 anni, dopo una dura malattia.

Tutta la sua biografia, morte compresa, è un costante invito a conoscersi interiormente per conoscere il Bene. Per aprirsi ad esso e accogliere la grazia di Dio.

Gli esempi che lei adduce sono semplici, essenziali, immediati, ricalcano la vita concreta e quotidiana.

Vigiliamo – dice – perché, attraverso i nostri sensi, i ladri entrano anche se non lo vogliamo. Come può non annerirsi una casa se il fumo entrando dall’esterno trova le finestre spalancate?[5].

Troppo spesso le donne che Sincletica incontra sono volte all’indietro e, al fine di capire il passato, vivono di illusioni e cercano una vita edonistica orientata al divertimento; così facendo si imbrigliano nell’estenuante ricerca di un piacere sempre più appagante, che tuttavia non soddisfa mai, e non conduce ad altro se non all’ingordigia e alla tristezza, e ad una vita che appare sempre più priva di significato.

Disse ancora: “C’è una tristezza utile e una tristezza dannosa. È proprio della tristezza utile gemere sui propri peccati […] e far sì che non veniamo meno al nostro proposito di giungere alla perfezione del bene. Ma c’è anche un’altra tristezza che viene dal Nemico, piena di stoltezza; da alcuni è chiamata acedia. Bisogna respingere questo spirito soprattutto attraverso la preghiera e la salmodia[6].

I sensi, dunque, sono il canale attraverso cui giungono le tentazioni, ma non solo.

 Egli ci fa guerra con tentazioni dall’esterno e ci domina mediante i pensieri interiori[7].

L’anima, come una nave, talvolta viene affondata dalla onde esterne; talvolta, viene sommersa a causa dell’acqua che ha invaso la stiva. Così anche noi, talvolta, ci perdiamo per le azioni peccaminose compiute all’esterno, talvolta veniamo distrutti dai pensieri interni. È necessario dunque guardarsi non soltanto dagli assalti che provengono dall’esterno dell’uomo, ma anche svuotarci dai pensieri impuri che vengono dall’interno[8].

Dobbiamo, dunque, rendere più attenta la mente ai nostri pensieri[9].

Secondo Sincletica le donne devono essere sempre viglianti e non possono permettersi di essere superficiali nella cura della propria anima:

Anche noi dobbiamo prenderci cura dell’anima non in modo superficiale e provvedere al suo ornamento con tutte le nostre forze, senza trascurare soprattutto le profondità. […] Cerchiamo di scacciare i vermi che distruggono l’anima. La testa è la nostra anima[10].

Ella esorta ripetutamente: Attenta a te![11] e suggerisce che, con un’accorta osservazione e verifica di sé, i grilli e i serpenti della testa si lasciano scoprire molto facilmente. Suggerisce anche, parlando velatamente di come lei lavori su se stessa, un metodo:

Ho conosciuto un servo di Dio che viveva secondo virtù; stando seduto nella sua cella, vigilava sui pensieri che si presentavano e valutava quale fosse venuto per primo, quale per secondo e quanto tempo ciascuno di essi si trattenesse; si domandava anche se fosse peggiorato o avesse fatto progressi rispetto al giorno precedente. Così conosceva perfettamente la grazia di Dio, la propria perseveranza e forza e quindi anche la disfatta del Nemico[12].

Evidentemente Sincletica non si perde né invita le donne con cui parla a perdersi in un mero processo psicologico: la conoscenza di se stessi e dei propri moti interiori è il mezzo attraverso il quale è possibile conoscere l’azione della grazia di Dio all’interno della propria anima.

Se, di fatto, Sincletica appare intransigente rispetto alla cura dell’anima, è anche vero che sempre, nei suoi insegnamenti, – come in quelli di tutte le donne del deserto – emerge un materno atteggiamento di misericordia e mitezza.

Se anche avviene un piccolo furto da parte del Nemico, bisogna sopportare, seppure con tristezza, di essere stati messi alla prova, ma non bisogna disperare né gettare via tutto a causa di una colpa involontaria. Hai le novantanove pecore, cerca anche la smarrita. Non spaventarti per una sola colpa, non allontanarti dal Signore, perché il diavolo assetato di sangue non catturi e non distrugga tutto il gregge delle tue azioni. Non disertare, dunque, per una sola mancanza perché il Signore è buono[13].

Allo stesso modo, proprio in virtù di quell’istinto materno che ama personalmente ciascuno e che si piega dinanzi a ciò di cui ciascuna persona ha bisogno, ella afferma:

Non tutto è utile a tutti; ciascuno se ne convinca personalmente. […] Come alcune piante crescono più rigogliose in luoghi umidi, altre invece diventano più resistenti in luoghi asciutti, così anche tra gli uomini: alcuni agiscono bene in luoghi più elevati, altri si salvano in luoghi più umili[14].

E ancora, a proposito di un’ascesi esaltata e con un occhio particolarmente attento nei confronti della debolezza e della vecchiaia dice:

Come possiamo dunque distinguere l’ascesi divina e regale da quella tirannica e demoniaca? È chiaro: dalla misura! Sottoponiti ad una regola di digiuno costante nel tempo. Non digiunare quattro o cinque giorni per poi rompere il digiuno il giorno seguente con grande quantità di cibo. La mancanza di misura finisce sempre per essere dannosa[15]. Non consumare in un sol colpo le tue armi; ti troverai in guerra disarmato e sarai una facile preda. Le nostre armi sono il nostro corpo; il soldato è l’anima; abbi cura dell’uno e dell’altro perché siano in grado di servirti. Se sei giovane e in buona salute digiuna. Verrà la vecchiaia con la sua infermità. Finché puoi, fa’ provviste di cibo spirituale, le ritroverai quando le forze ti avranno abbandonato[16].

Più frequentemente degli uomini, le donne del deserto parlano di malattie: è palese che esse, rispetto agli uomini, abbiano un rapporto più diretto con il proprio corpo. E se gli uomini guardano maggiormente all’esercizio, alla prestanza, al vigore, alla resistenza, le donne comunicano invece la necessità di una naturale riappacificazione con il proprio corpo:

Perché questa è la grande ascesi: sopportare strenuamente le malattie ed elevare inni di ringraziamento a Dio[17].

Sincletica parla per esperienza: conosce nella propria carne la dolorosa esperienza della malattia. Prima si ammala di tisi, poi un cancro le devasta il volto; infine viene colpita nell’uso della parola. Lei stessa diviene testimone diretta del fatto che c’è un linguaggio, nella malattia, che le donne riescono a cogliere meglio degli uomini. Comprendere ciò che Dio ha da dire e da fare attraverso la malattia che esse stesse vivono è per le donne del deserto un farmaco, il rimedio che limita la sofferenza e porta all’ascesi.

Aveva ottant’anni quando il diavolo trasferì su di lei le prove di Giobbe, fustigandola con i medesimi flagelli […][18]. Ma la beata sopportava nobilmente l’assalto del Nemico, non si perdeva d’animo e a sua volta lottava contro di lui. Inoltre, con i suoi buoni insegnamenti, guariva quelli che il nemico aveva ferito, strappava a questo leone avido di sangue le anime non ancora colpite e curava i feriti con i farmaci salutari del Signore. Custodiva alcuni incolumi; a essi mostrava le ingannevoli trappole del diavolo e li liberava dal peccato[19].

Di nuovo il Nemico escogitò un altro genere di assalto; colpì le sue corde vocali per farle perdere l’uso della parola, pensando in tal modo di prostrare le sue compagne con la fame di parole divine. Ma anche se la santa privò le sue compagne dell’ascolto di parole salutari, donò loro un guadagno maggiore, perché esse, volgendo lo sguardo alle sue sofferenze, rendevano ancor più salda la loro volontà. Le sue sofferenze fisiche guarivano le anime ferite e bisognava vedere come si sentivano protette e sostenute quelle che osservavano la grandezza d’animo e la perseveranza della beata[20].

Chi non provò raccapriccio a vedere tale prova? Chi non trasse profitto al vedere la costanza della beata e a riconoscere in essa la sconfitta del Nemico? Il diavolo la colpì infatti laddove scaturiva la fonte salvifica e dolcissima delle sue parole e la sua infinita malvagità annientò ogni invocazione di aiuto. […] Come una bestia avida di sangue, proprio lui, che cercava il cibo, divenne la preda. Fu adescato come ad un amo dalla debolezza del corpo di Sincletica. Vedendo che era una donna, la disprezzava perché ne ignorava l’animo virile, scorgeva soltanto membra inferme; era cieco, non poteva vedere la grande forza del suo animo. Per tre mesi Sincletica combatté questa lotta; tutto il suo corpo era sostenuto da una potenza divina, perché tutto quello che poteva mantenerla in vita veniva meno[21].

[1] Cf. E. Giannarelli, La biografia femminile: temi e problemi, in La donna nel pensiero cristiano antico, pp. 223-224.

[2] Il redattore di questa biografia, nota come Vita di Sincletica, e risalente con buone probabilità al V secolo, è ignoto, anche se essa è attribuita, a seconda dei diversi manoscritti, ad Atanasio, all’ “asceta Policarpo” o a un “beato Arsenio di Pegade”.

[3] Vita di Sincletica, 20.5-6

[4] Alf. Sincletica 23 S 5

[5] Alf. Sincletica 24 S 6

[6] Alf. Sincletica 28 S 10

[7] Vita di Sincletica, 28.9

[8] Alf. Sincletica 25 S 7

[9] Vita di Sincletica, 46.1

[10] Vita di Sincletica, 80.1; 4; 7

[11] Vita di Sincletica, 49.3

[12] Vita di Sincletica, 88.6

[13] Vita di Sincletica, 89.3-6

[14] Vita di Sincletica, 97.1; 3

[15] Alf. Sincletica 15

[16] Vita di Sincletica, 100.3-9

[17] Alf. Sincletica 8

[18] Vita di Sincletica, 106.1

[19] Vita di Sincletica, 107

[20] Vita di Sincletica, 110.

[21] Vita di Sincletica, 112.1-7

Alf. = Apophthegmata patrum. Collectio alphabetica, trad. it. L. Mortari (a c. di), Vita e detti dei padri del deserto, Roma 2014.

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